martedì 27 gennaio 2015

L'Olocausto dei triangoli rosa: a Trieste 19 illustratori in mostra


Il triangolo rosa distingueva i deportati omosessuali all'interno dei campi di concentramento nazisti. 19 illustratori hanno lavorato su quel simbolo e su quel colore per raccontare a loro modo un aspetto dell'Olocausto spesso lasciato in secondo piano. Il risultato è visibile presso il bar Knulp di Trieste nell'ambito di "Rosa cenere", una mostra organizzata da Daydreaming Project in collaborazione con Arcigay Arcobaleno Trieste Gorizia ONLUS, Bar Libreria Knulp e Fumetetria Neopolis.
La mostra è stata inaugurata il 26 gennaio e sarà visitabile fino al 7 febbraio.




Di seguito il comunicato ufficiale.

“Rosa cenere nasce dall’urgenza del gruppo di volontari del Cassero LGBT Center, Peopall, di raccontare la memoria che, durante gli anni, ha rischiato di perdersi nelle pieghe di un silenzio imposto dalla vergogna nel mostrare le cicatrici che l’orrore nazi­ fascista aveva impresso sui corpi dei deportati omosessuali. Raccontarla mediante l’arte ci è sembrato il modo migliore per fornire un punto d’accesso diverso e non banale,
con l’intento di stimolare la riflessione e la curiosità. Istintivamenteabbiamo cercato
la collaborazione del Centro di Documentazione del Cassero, luogo fondamentale di alimentazione della memoria della “nostra” comunità, da cui abbiamo ricevuto sostegno ed entusiasmo. Lo stesso entusiasmo con il quale hanno accettato di collaborare
i diciannove artisti, coordinati da Jacopo Camagni, che generosamente hanno
messo a disposizione il loro tempo e i loro talenti.
L’obiettivo della mostra, fin dall’inizio, è stato quello di non distaccarsi dalla veridicità delle esperienze vissute dalle vittime, e le testimonianze, dirette e indirette, sono state il punto di partenza dell’intero progetto. Tra le undici storie vere illustrate alcune sono già note, come quelle di Heinz Heger e Pierre Seel che con le loro pubblicazioni hanno aperto la strada alle prime ricerche sugli omosessuali deportati, altre invece sono state recuperate negli archivi online, come quella di Henny Schermann, una delle poche donne deportate anche perché lesbica.
Graficamente il progetto ruota intorno al triangolo rosa, il marchio distintivo degli internati omosessuali, e abbiamo chiesto ai disegnatori di lavorare su questo simbolo per elaborare la loro personale lettura dell’omocausto, virando il tutto sui toni del bianco
e del nero. La scelta degli artisti è caduta, da un lato, su nomi già affermati, e dall’altro su nomi che stanno iniziando a farsi conoscere, con l’intento di fornire visibilità alle diverse realtà creative della comunità LGBT. Ognuno di loro ha scelto una biografia e da essa ha preso spunto.
Diciannove illustratori, diciassette tavole, undici storie. Questi sono solo alcuni dei numeri di un progetto che ha visto la luce nel giro di due mesi, nato perché la memoria non si perda, perché la ricerca è ancora agli inizi e i testimoni di quegli stanno scomparendo L’unico modo per rendere loro giustizia e ricordarli. E renderemo giustizia anche a chi lotta quotidianamente per i diritti delle persone gay, lesbiche e trans*.”
Giuseppe Seminario

Gli Illustratori/i protagonisti
Massimo Basili
Albrecht Becher
Flavia Biondi
Rudolf Brazda
Marco B. Bucci
Jacopo Camagni
Damiano Clemente
Sebastian Dell’Aria
Heinz Dörmer
Annette Eick
Giopota
Karl Gorath
Heinz Heger Francesco
Legramandi
Giulio Macaione
Andrea Madalena
Davide Mantovani
Mabel Morri
Vinnie Palombino
Isabel Pilo
Wally Rainbow
Roberto Ruager
Pierre Seel
Henny Schermann Michele Soma
Mattia Surroz
Luca Vanzella
Paul Gerhard Vogel Friederich-
Paul von Groszheim
Kurt von Ruffin

«Io sono la prova vivente che Hitler non ha vinto. Ne sono consapevole ogni giorno. Se non avessi raccontato la mia storia, chi conoscerebbe la verità?»
Friedrich-Paul von Groszheim

Grazie a

Cassero LGBT Center

domenica 25 gennaio 2015

"Il pugile" di Reinhard Kleist: un fumetto per la Giornata della Memoria


Venerdì 30 gennaio alle 18, presso la libreria Lovat di Trieste, il fumettista Reinhard Kleist presenterà il suo ultimo libro intitolato Il pugile. Si tratta di una delle tappe del tour che toccherà anche Roma, Genova e Milano, attraverso il quale l'autore berlinese farà conoscere al pubblico italiano la storia vera di Hertzko Haft, un ebreo polacco diventato pugile ad Auschwitz. Il volume, pubblicato dai tipi della Bao Publishing, si basa sul libro scritto dal figlio Alan Scott Haft che, appena nel 2003, scoprì la straordinaria e terribile vicenda vissuta dal padre.


Deportato nel campo della morte, Hertzko fu obbligato a salire sul ring per intrattenere gli ufficiali delle SS e, grazie alla box, riuscì a salvare la propria vita. Kleist ci racconta una terribile storia di sopravvivenza: il pugile sa che ad ogni combattimento che lo vede vincitore corrisponderà la morte per il perdente, detenuto come lui. Una crudele lotta per la vita. Ma è anche una storia di speranza e d'amore. E' infatti la speranza di rivedere Leah Pablanski, la ragazza della sua città natale di cui si è innamorato prima della deportazione, che dà la forza ad Hertzko di fare tutto il possibile per rimanere vivo.


"Dopo quello che ho passato cosa vuoi che possa farmi un uomo coi guantoni?"
La determinazione di Hertzko, e il suo sapere fare a pugni, lo tengono in vita fino all'arrivo dell'Armata Rossa, quando riesce a scappare dai suoi aguzzini durante una marcia della morte, travestendosi da guardia tedesca. Emigrato negli Stati Uniti, diventerà pugile professionista fino ad incontrare sul ring il leggendario Rocky Marciano, futuro campione del mondo dei massimi. La sconfitta con il pugile italo-americano spingerà Hertzko a ritirarsi dalla box e ad aprire una bottega di fruttivendolo.
Dopo il libro su Johnny Cash del 2006, che lo fece conoscere a livello internazionale, e quello su Fidel Castro del 2010, con Il pugile l'artista tedesco si conferma essere uno dei migliori autori a livello internazionale di biografie a fumetti. Kleist riesce infatti ad emozionare il lettore condensando in una storia coerente ed omogenea gli aspetti e i momenti più importanti delle vite dei protagonisti dei suoi libri. Ma oltre alle sue indubbie capacità di storyteller, punto essenziale dello stile di Kleist è il tratto espressionista che, con i suoi chiari scuri, fa rivivere sulla pagina sia le lacerazioni interiori di Man in Black, che la passione politica del Leader Maximo ed ora l'orrore dei campi di sterminio.

lunedì 19 gennaio 2015

Il mercato batte Saguaro


Non ci voleva un mago per prevederlo. Quando ho visto morire Cobra Ray, il nemico numero uno di Saguaro nell'albo di gennaio intitolato Colpo di coda, sul momento non ci ho creduto o, meglio, non ci volevo credere. Ho riletto due volte per essere sicuro che non mi fosse sfuggito qualcosa: in fondo tante volte Cobra Ray era stato dato per morto, ma era sempre ricomparso più pericoloso di prima. Ma questa volta no. Ridotto in sedia a rotelle, si è dato fuoco di fronte a Saguaro. Ed è morto. Se Bruno Enna, creatore e principale sceneggiatore del personaggio, fa morire già al numero 32 della serie il nemico principale del protagonista, allora il lettore non può che considerarlo come un terribile indizio. Unito all'altro grave indizio riguardante i bassi numeri di vendita di cui Saguaro soffre da molto tempo, mi son detto che ormai la fine della serie è certa. Puntuale è giunta pochi giorni fa la notizia ufficiale della Sergio Bonelli Editore, che ha confermato le voci che circolavano da mesi: in soli tre ultimi e definitivi albi Saguaro verrà a capo di tutto. Tutte le interessanti trame che hanno segnato con forza la continuity della serie (dall'infido Clive Waters, creatore dell'unità speciale dell'FBI in cui lavora Thorn Kitcheyan, passando per il ribelle navajo Nastas Begay, ex amico fraterno di Saguaro, fino al vecchio uomo della medicina Howi e i segreti riguardo ai genitori di Thorn) troveranno una conclusione in soli tre albi.
E' un vero peccato. La Bonelli chiude una delle sue serie migliori. Più volte ho avuto modo di elogiare Enna per la sua scrittura dinamica, veloce, agile ma capace di approfondire con cura temi di carattere sociale e psicologie dei personaggi. Perdiamo un ottimo poliziesco ambientato nel Sud Ovest americano negli anni Settanta del secolo scorso, con in primo piano le problematiche legate alla vita e ai diritti dei nativi. Thorn è un navajo, ma è anche un reduce del Vietnam, e da proprio questo passato emerge il suo arci-nemico Cobra Ray. Ma c'è anche un altro passato, familiare e tribale, che incombe su Saguaro e di cui, albo dopo albo, Enna ha saputo dosare gli elementi, in modo da creare la dovuta suspense.
Non mi spiegherò mai perché prima Orfani e ora Ringo (miniserie scritte da Roberto Recchioni) funzionano mentre Saguaro no. Intendo dal punto di vista commerciale, non della qualità di soggetti e sceneggiature. Qualcuno ha detto che Saguaro è nato già vecchio: un eroe Bonelli classico, troppo classico, legato ad uno sfondo, il western, che ha perso molto del suo appeal, almeno presso il pubblico più giovane. Non sono d'accordo. Saguaro è parso essere al suo esordio il classico duro, tutto d'un pezzo, alla Tex Willer. Ma poi, con lo scorrere delle storie, la sua psicologia e il suo mondo si sono dispiegati, lasciando intravedere molte sfumature, e molti dubbi. Tex, al di là dei metodi drastici che li accomunano, è molto lontano da Thorn.



E poi, Adam Wild, la nuova miniserie di Gianfranco Manfredi, non si è proposta proprio all'insegna della Avventura classica, che più classica non si può? Certo, l'ambientazione e i personaggi son del tutto diversi, ma l'alveo di genere in cui si inserisce è molto più vicino a Saguaro piuttosto che ad Orfani. E mi pare che le vendite del nuovo eroe di Manfredi stiano andando bene.
L'unico difetto, non di poco conto, che riconosco alla serie di Enna è la qualità dei disegni, mediamente bassa, con rare eccezioni. Potrebbe essere che molti lettori l'abbiano abbandonata proprio per questo motivo. Se fosse vero, le responsabilità ricadrebbe sulla Bonelli stessa, che non ha saputo garantire ad Enna un parco disegnatori all'altezza (cosa che invece non sta succedendo per Adam Wild e Lukas di Michele Medda, caratterizzati da ottimi disegni, oltre che da valide storie).

domenica 18 gennaio 2015

Zerocalcare a Kobane


Ancora Kobane. Dopo una settimana la rivista Internazionale ripropone all'attenzione dei suoi lettori la città curda della regione siriana del Rojava. Lo fa usando lo stesso linguaggio di sette giorni fa, il fumetto. Ma se nel numero precedente Isik ci aveva spedito una cartolina da Kobane composta da due tavole, ora Zerocalcare ci regala un reportage di quarantadue pagine, frutto della sua esperienza vissuta nel Rojava insieme alla Staffetta Romana per Kobane, ovvero gente dei centri sociali che si reca sul posto per fornire un supporto umanitario e per portare a casa un'informazione corretta.
Il graphic journalism che ci offre Zerocalcare è unico, perché il resoconto dei fatti è intriso delle forti emozioni vissute. A Mehser, un villaggio turco a pochi chilometri dal confine su cui si affaccia Kobane, Zerocalcare entra in contatto con una realtà che i grandi media non raccontano. Uomini e donne organizzati in una struttura sociale partecipata, democratica e governata dal basso, dalla gente che si autogestisce in tutti gli aspetti della vita quotidiana. Vita che di ordinario e normale ha ormai ben poco, visto che la guerra contro l'Isis è ormai la quotidianità. Zerocalcare mi piace perché si mostra sempre come è, senza filtri, con tutte le sue paure, con il suo senso di inadeguatezza di fronte alla forza e determinazione dimostrata dai curdi, soprattutto dalle donne. Ma c'è anche tutta la sua curiosità di capire, la sua volontà di aiutare, la sua partecipazione offerta attraverso gli strumenti che ha a disposizione, c'è tutto il suo cuore lì a Kobane. Zerocalcare ti fa sorridere, ti fa capire, ti fa commuovere. Fa parlare le persone che incontra e le parole sono come pietre. Mi hanno colpito in particolare quelle pronunciate da Newroz Kobane, una delle ragazze responsabili del campo profughi:
"Noi siamo musulmane. A noi nessuno può venirci a dare lezioni di Islam. Sono quelli dell'Isis a non essere musulmani. Noi rispettiamo tutti. Noi seppelliamo i morti. Anche i loro. Loro tagliano teste, mani, piedi. Uccidono bambini. Sono bestie senza coscienza. Che religione ha gente così?"

Basterebbero queste parole per far tacere tutti gli attuali sciacalli che soffiano sul fuoco di quello che è successo a Parigi, cercando di demonizzare una religione e tutti i suoi fedeli. Bisognerebbe portarli nel Rojava a verificare sul posto come invece dei musulmani (e non solo) stanno realizzando una rivoluzione in cui tutti sono eguali, le ricchezze sono distribuite, la natura è rispettata e diverse religioni ed etnie convivono pacificamente. O almeno cercano di farlo. Perché dall'altra parte c'è l'Isis che distrugge ogni cosa con la violenza. Di qua i resistenti curdi mal tollerati da tutti, la Turchia in primis, e di là i combattenti dell'Isis, bombardati con sospetta imprecisione dagli americani. Ma gli sciacalli, e i benpensanti che li seguono, si tengono ben lontani da posti come questo. E temo che non leggano nemmeno questo reportage di Zerocalcare. Perché basterebbe la lettura di un breve racconto a fumetti, proposto da un giornale, per cominciare a porsi delle domande. In fondo ha ragione il direttore di Internazionale Giovanni De Mauro che scrive nell'editoriale:
"I giornali servono a informarsi e a farsi un'opinione, ma contribuiscono anche a definire l'identità di chi li legge."
Leggere, informarsi e cercare di capire è un esercizio di libertà: aiuta a rendersi autonomi dagli altri, dalle opinioni altrui che, a volte, sono superficiali o interessate. O entrambe le cose insieme.  

sabato 10 gennaio 2015

Charlie Hebdo e il Rojava: la resistenza alle tenebre


Il numero 1084 del settimanale Internazionale, in edicola in questi giorni, propone nella rubrica Graphic journalism un servizio grafico realizzato da Isik, illustratrice francese che vive a Istanbul. Nelle sue Cartoline da Kobane, città del Rojava, il Kurdistan siriano, Isik ci ricorda che degli uomini e delle donne stanno realizzando un'utopia: costruire uno stato governato dal basso, nel quale donna e uomo hanno gli stessi diritti, l'ambiente è rispettato e il modello economico è anticapitalista. La loro rivoluzione sta fieramente resistendo da mesi all'offensiva dell'Isis.
Charb, il direttore del settimanale satirico Charlie Hebdo, assassinato insieme ad altre undici persone nell'attentato terroristico avvenuto mercoledì 7 gennaio a Parigi contro la sede del suo giornale, aveva scritto le seguenti parole a proposito della lotta condotta dai curdi contro i fondamentalisti islamici:
"Io non sono curdo, non conosco una parola di curdo, non sono in grado di citare nessun autore curdo. La cultura curda mi è del tutto estranea (...) Ma oggi, io sono un curdo, penso in curdo, parlo in curdo, canto in curdo e piango in curdo. I curdi assediati in Siria non sono curdi, loro rappresentano l'umanità stessa che resiste alle tenebre. Loro difendono le loro vite, le loro famiglie e la loro patria. Che lo vogliate o meno, rappresentano l'anima della resistenza contro l'Isis. Ci stanno proteggendo, non solo dall'Isis ma anche dalla barbarie (...) Oggi, sono i curdi ad esistere contro la morte e il cinismo."

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