martedì 31 marzo 2015

Ken Parker: la lunga attesa dopo "Faccia di rame"


Ken in raccoglimento davanti alla tomba di Ishi: è stata questa la tavola decisamente triste con cui Ken si è congedato dai suoi lettori. Un "so long!" amaro, pronunciato anche dai suoi autori, Berardi e Milazzo, in calce all'ultima vignetta. Per più di quindici anni ci siamo portati dentro questa mesta immagine, sapendo che in realtà (o meglio nella finzione, anche se si fa fatica a parlare di fantasia con un personaggio così realistico) Ken ci sta raccontando una storia del suo passato. Lui si trova in carcere, in una condizione apparentemente senza speranza, e la vicenda di Ishi, l'ultimo rappresentante della tribù degli Yana, è collocata al di fuori della continuity.
Rileggendo l'episodio Faccia di Rame, ripubblicato dalla Mondadori come volume numero 47 della collana Ken Parker, ho trovato che Berardi ci regala una storia ricca dei temi che ci hanno fatto amare questa serie. Innanzitutto l'amicizia. Il rapporto che Ken instaura con Duke Shaw, sceriffo della cittadina californiana di Oroville e suo ex commilitone nell'esercito, è di quelli improntati sulla sincerità, rispetto e reciproco sostegno. La stessa cosa succede con la figlia Joan e l'antropologo Hoerner. Poi la sua attitudine connaturata nel contrastare i pregiudizi, mettendoci la faccia ed esponendosi in prima persona. Le scorciatoie mentali con cui si cortocircuita la ragione e si isola l'empatia, hanno portato solo tragici disastri nel corso della Storia. Ad Oroville sta per accadere di nuovo: i civilissimi cittadini vogliono linciare uno scheletrico indiano perché ritenuto capace di vivere solo con il furto, e quindi parassita pericoloso per la società dei bianchi. Qui si innesta un terzo grande tema, uno dei leitmotiv dell'intera serie: lo sterminio dei Nativi americani.



La storia narrata in questo episodio si ispira ad un fatto realmente avvenuto. Il vero Ishi visse fra i bianchi alcune decine di anni più tardi, fra il 1911 e il 1916. Si trattava realmente dell'ultimo rappresentante della sua tribù, spazzata via senza pietà dall'avanzata civilizzatrice dei bianchi. Berardi non ci risparmia le scene decisamente forti in cui si racconta di come, prima la tribù e poi la famiglia di Ishi, sono sterminate dalla cieca violenza dei pionieri, un genocidio mascherato da legittima conquista. Nonostante tutto, Ishi si ambienta nella piccola cittadina, senza portare rancore verso quel mondo che ha distrutto la sua storia. Dimostra un atteggiamento di fiducia e di curiosità verso il prossimo, subendo prima l'ostilità dei paesani (correndo anche il rischio di un secondo linciaggio) e diventando poi un eroe, grazie al salvataggio dei bambini della scuola e della loro maestra durante il tremendo alluvione che devasta la cittadina. Ishi quindi si trasferisce a San Francisco insieme a Joan che convola a nozze con l'antropologo. Qui diventa un'attrazione del locale museo, senza comunque mai perdere la propria dignità ed essendo trattato sempre con rispetto. Ken lo perde di vista e riceve per lettera da Joan le tristi novità riguardanti la sua morte avvenuta dopo alcuni anni a causa della tubercolosi:
"Così, caro Ken, stoico e senza paura, il nostro Ishi ci ha lasciati. Per lui eravamo dei bambini viziati, intelligenti ma poco saggi. Sapevamo molte cose, sì, ma non tutte vere. Lui invece conosceva la natura che è sempre vera. Era buono, coraggioso ed equilibrato; e nonostante gli fosse stato portato via tutto, non c'era rancore nel suo cuore. Aveva l'animo di un bambino e la mente di un filosofo. Dacci presto tue notizie, ti prego. Ti lascio con il saluto preferito di Ishi: "Restate, io vado"."
E qui ritorna la tavola finale, nella quale Ken rende omaggio alla memoria di Ishi.
Come detto sopra, da gennaio 1998 a ottobre 2013 è stata questa l'immagine di Lungo Fucile che ci siamo portati dentro. L'abbiamo sostituita un anno e mezzo fa con le dodici tavole di Canto di Natale, il racconto inedito pubblicato dalla Spazio Corto Maltese, che vede Ken ancora galeotto, ancora in una situazione senza speranza. Non vediamo l'ora di vedere cosa succederà fra poco più di una settimana, quando la Mondadori pubblicherà Fin dove arriva il mattino, l'episodio inedito che porrà la parola fine all'umana avventura di Ken. La copertina e le tavole diffuse in anteprima ce lo mostrano libero, a cavallo, in mezzo alla natura. Finalmente. 

sabato 28 marzo 2015

La piccola grande storia di Saguaro


Saguaro è giunto alla fine della pista. Col numero 35, intitolato Oltre l'orizzonte, da pochi giorni in edicola, si conclude la serie a fumetti della Sergio Bonelli Editore scritta da Bruno Enna. Per quasi tre anni l'autore sardo ci ha introdotto in un mondo e un personaggio affascinanti. Per chi ama la Storia dei Nativi americani, Saguaro è stato un fumetto importante. Ambientato nei primi anni Settanta del secolo scorso, ci ha mostrato, in chiave avventurosa da buona tradizione bonelliana, come vivono i discendenti di quel popolo che è stato sconfitto sul campo, ma non nell'onore, da un invasore troppo numeroso e tecnologicamente avanzato da potergli resistere. Abbiamo capito che le rivendicazioni dei Nativi rimangono le stesse di quelle che avanzavano i loro progenitori di un secolo prima. Abbiamo visto come l'integrazione forzata e la ribellione siano due facce della stessa tragica medaglia. Bruno Enna ha avuto il merito di accostarsi a questa Storia così complessa con grande umiltà e rispetto. Lo ha fatto attraverso una storia personale, quella del navajo Thorn Kitcheyan detto Saguaro, un uomo alla ricerca della propria identità. Con l'ultimo episodio, disegnato magistralmente da Luigi Siniscalchi, Enna scrive una splendida conclusione del conflitto che Thorn ha vissuto dentro di sé. Non poteva che essere Nastas Begay, l'amico di sempre, il fratello di una vita, il ribelle ricercato dall'FBI, ad accompagnare Saguaro alla presa di coscienza finale. Nell'ultima tavola, oltre l'orizzonte si stagliano le figure dei compagni di strada, di coloro con cui Thorn ha condiviso il proprio percorso. La storia editoriale di Saguaro è finita, ma la sua strada continua, se non altro nel cuore dei lettori che l'hanno seguito con tanta passione. Non è questo il post in cui commentare come mai una serie così bella termini dopo soli 35 numeri. Questo post deve terminare con una sola parola rivolta a Bruno Enna, ai disegnatori e a tutti i collaboratori della serie: grazie.

domenica 8 marzo 2015

Ken Parker senza speranza



Ancora il carcere. È questo il contesto in cui la continuty dell'umana avventura di Ken Parker si interrompe nel primo dei quattro albi speciali semestrali (pubblicato per la prima volta dalla Sergio Bonelli Editore nel luglio del 1996 e ristampato una settimana fa da Mondadori) con i quali il Nostro si congeda dai suoi lettori. Due dei tre albi successivi, infatti, narrano di avventure che si collocano temporalmente prima de I condannati e uno vede il figlio Teddy come protagonista. Il ritorno al formato bonelliano classico trova Chemako testimone di una delle peggiori situazioni umane in cui sia mai capitato. Dopo la rivolta del carcere di Jackson, di cui è stato uno dei protagonisti, Ken viene trasferito in un penitenziario di massima sicurezza, a Fort Lauderdale, in mezzo alle everglades della Florida. Un ambiente inospitale, in cui la natura è il primo elemento punitivo nei confronti dei prigionieri, ma non il peggiore. Se a Jackson il tentativo (vano) del direttore era stato quello di impostare la detenzione dei carcerati su delle basi rieducative, qui a Fort Lauderdale non c'è nessuna speranza. Il fine è solo la punizione, dura, spietata, violenta, senza redenzione. Un lager, dove i condannati sono sottoposti ad un lavoro massacrante in mezzo alla palude, in balia di secondini che giocano con la loro vita mentre il direttore dedica attenzioni “particolari” ad alcuni detenuti. Un incubo nel quale Ken riesce a mantenere viva, nonostante tutto, la propria umanità, che si manifesta innanzitutto nell'aiuto ad Hamilton, un condannato anziano. Intorno a questo compagno di sventure e alla sua storia si dipana la trama di questo albo che si conclude tragicamente con un inutile tentativo di fuga, in cui lo stesso Ken viene coinvolto contro la propria volontà.



Come al solito, nei soggetti di Giancarlo Berardi, la storia con i suoi sviluppi ben congegnati è funzionale a far emergere lo spessore dei personaggi, con il loro corredo di sentimenti e di idee. Giri l'ultima pagina e ti accorgi che quello che rimane non è la soluzione ingegnosa con cui Ken ha individuato l'assassino di Hamilton, ma sono le emozioni e i volti dei protagonisti, da Hamilton al direttore, dal medico al secondino, dal detenuto in fin di vita a quello suicida. Tanti personaggi, tante facce (splendidamente disegnate da Pasquale Frisenda e Laura Zuccheri), tante storie di tragica umanità, tutte accomunate da uno sguardo che non lascia spazio a nessuna speranza. È un'amarezza indicibile che ti consegna questa storia, una visione dell'uomo e del suo mondo senza possibilità di salvezza. Manca solo un mese all'epilogo inedito delle avventure di Ken, che lo vedranno, già lo sai, finalmente fuori dal carcere: e questo ti rincuora. Ma ti sei portato dentro per quasi vent'anni quest'amarezza. E, da lettore appassionato di un personaggio che, per il suo realismo, buca la carta su cui è disegnato per entrare nella vita, non puoi altro che constatare che è stato un vero peso.

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